Nell’età contemporanea, dominata dal consumismo e dal culto della materialità, si assiste ad un incessante sviluppo tecnologico e ad un insaziabile appetito per l’innovazione tecnologica.
In una concezione puramente evoluzionista del fenomeno, potremmo convincerci della bontà di questa situazione e di come l’idea di progresso sia inevitabilmente legata a valori positivi, disposti lungo un chilometrico percorso avente come destinazione ultima l’idea, platonicamente pura, di Benessere.
Siamo certi che sia così? Esiste davvero questa mitica destinazione? O è solo mera e semplice Utopia?
William Fielding Ogburn, sociologo statunitense vissuto a cavallo fra Ottocento e Novecento, ha provato a dimostrare come il progresso materiale non lasci la realtà sociale immune da tensioni e conflitti di natura socio-culturale.
Nel suo volume Social Change with Respect to Culture and Original Nature, pubblicato nel 1922, Ogburn formula la cosiddetta teoria del Ritardo culturale. Dopo aver attuato una distinzione fra Cultura Materiale (costituita dall’insieme di tecnologia, oggetti, processi di produzione e d’uso) e Cultura Adattiva, o Non-materiale (comprendente idee, valori, arte, religione, costumi, ordinamenti sociali, filosofia), Ogburn spiega che il mutamento della cultura materiale è più rapido e più veloce da accettare, rispetto a quello che riguarda il secondo tipo di cultura.